Sebbene molto spesso la necessità di rimuovere la milza sia da correlare a traumi e pertanto l’intervento chirurgico sia una procedura condotta in regime di urgenza, si segnalano numerose altre condizioni patologiche che richiedono il medesimo atteggiamento chirurgico, per esempio:

  • Cisti (semplici e da echinococco) e pseudocisti (postraumatiche)
  • Flogosi acute (ascessi) e croniche (TBC, malaria)
  • Neoplasie benigne (emangiomi, linfangiomi)
  • Neoplasie maligne (angiosarcomi, metastasi)
  • Milza mobile (ptosi, migrazione, ectopia) e torsione acuta del peduncolo
  • Alterazioni vascolari (aneurisma arteria splenica, fistole artero-venose, infarto)
  • In corso di altri interventi (lacerazioni iatrogene, exeresi radicali, exeresi di necessità)
  • Anemie emolitiche (sferocitosi, talassemia, a. falciforme, a. emolitica autoimmune)
  • Porpore trombocitopeniche (idiopatica o essenziale, trombotica)
  • Ipersplenismi (neutropenia e pancitopenia idiopatica, splenomegalia congestizia o S. di Banti, mielofibrosi, stati infettivi cronici, disordini del collagene, mal. infiammatorie croniche, lipoidosi)

La sintomatologia generale dipende dall’incremento volumetrico dell’organo dall’alterazione funzionale ma essenzialmente si dividono in fenomeni algici abitualmente localizzati all’ipocondrio sinistro (viscerale), alla spalla sinistra (per la compressione del nervo frenico diaframmatico) e si accentua alla palpazione addominale profonda. Altrettanto si segnala una iperattività funzionale quali l’iperplasia midollare, la citopenia, l’anemia, piastrinopenia e febbre).

Alcuni dei quadri più frequenti sono i seguenti:

INFRAZIONE O ROTTURA: a seguito di un trauma diretto (ipocondrio sinistro, fianco sinistro, emitorace sinistro), indiretto (da “contraccolpo”) o ferite penetranti; lesioni iatrogene, ossia lacerazione in corso di altri interventi; spontanea per la presenza di una notevole splenomegalia.

Queste situazioni richiedono solitamente l’intervento di asportazione.

LACERAZIONE: Si dividono in capsulare, intraparenchimale, ilare, frammentazione, spappolamento. Clinicamente si manifestanto con la comparsa di shock ipovolemico (pallore, sudorazione, tachicardia, ipotensione, oliguria), emoperitoneo (dolore, contrattura, ottusità plessica). Nonostante numerosi tentativi conservativi, quasi sempre si ricorre alla rimozione in toto dell’organo.

EMATOMA: singolo o multiplo, sottocapsulare, intraparenchimale, di dimensioni variabili. Clinicamente può manifestare dolore ma molto spesso decorre in maniera quasi asintomatica. Si segnalano alcune volte rotture “in due tempi” con sintomi da trauma tardivi; nel momento in cui questi si verificano solitamente, valutata la possibilità di una embolizzazione, si ricorre al trattamento chirurgico.

CISTI: “vere”, epidermoidali, emangiomi e linfangiomi cistici. Clinicamente asintomatiche nel loro decorso possono dare nel tempo sintomi da compressione con iper- od iposplenismo. Raramente possono rompersi od ascessualizzarsi. Il reperto, per i dubbi diagnostici che può fomentare, è spesso trattato dapprima con un agoaspirato TC guidato ed in seconda battuta con splenectomia.

CISTI DA ECHINOCOCCO: asintomatiche se piccole possono, alla stregua delle altre forme cistiche, dare sintomi da compressione ed espongono a possibili rottura, ascessualizzazione o fistolizzazione. Ove possibile e nei bambini si può ipotizzare un trattamento conservativo; nella stragrande maggioranza dei casi si ricorre all’asportazione.

PSEUDOCISTI: “false” (connettivo) oppure da colliquazione di ematomi, infarti, flogosi. Anch’esse diventano chirurgiche nel momento in cui arrecano disturbi da compressione; in tali casi il comportamento è analogo alle cisti da echinococco.

ASCESSO: primitivo (eccezionale, sepsi, immunodepressione) o secondario (sovrainfezione di aree infartuate od ematomi). Si associano a quadri di shock settico (stato tossico, febbre, leucocitosi,…) e splenomegalia. La terapia consiste nella rimozione e la procedura vede solitamente il rientro di tutto il corteo settico associato.

TBC e MALARIA: Si verificano in corso di malattie sistemiche e possono produrre anche fenomeni infiammatori perisplenici con quadri aderenziali viscero-viscerali o viscero-parietali. Si manifestano con splenomegalia. Viene rimossa per eliminare i fenomeni di compressione ed il rischio di rottura.

NEOPLASIE BENIGNE: emangiomi, linfangiomi, amartomi. Arrecano disturbo solamente quando raggiungono grosse dimensioni o quando si verificano rottura o sanguinamento. Solo occasionalmente si procede a resezioni spleniche, più spesso si rimuove l’organo.

NEOPLASIE MALIGNE: primitivi (angiosarcomi, linfosarcomi, linfomi, leucemie) o secondari (stomaco, mammella, polmone, prostata). Sono sintomatiche solamente quando raggiungono dimensioni considerevoli ed in questo caso possono evolvere il rottura o sanguinamento. Si procede alla rimozione radicale e molto spesso, per la natura del problema, è un atto palliativo.

MILZA MOBILE: è una anomalia congenita femminile associata a lassità od agenesia mezzi di fissazione. Si traduce in una ptosi, una migrazione od una ectopia. Arreca dolore, sensazione di peso e sintomi da compressione. Si deve rimuovere anche per limitare il rischio di torsione dell’asse vascolare: quando si verifica si presentano dolori addominali acuti con contrattura di difesa e talvolta shock.

ANEURISMA DELL’ARTERIA SPLENICA: La sua eziologia è da correlare ad arteriosclerosi, ipoplasia congenita, traumi o flogosi croniche. Produce dolore epigastrico o splenomegalia. Può andare incontro a rottura o creazione di fistole arterovenose. La terapia prevede la rimozione della milza con resezione dell’aneurisma ed al bisogno la resezione della coda del pancreas.

INFARTO: può essere causato da fenomeni emboligeni, da compressione, pancreatiti e splenomegalie neoplastiche. La rilevanza clinica varia da forme paucisintomatiche a quadri di addome acuto caratterizzati da dolore all’ipocondrio/fianco sinistro, febbre e splenomegalia. Se il trattamento incruento non riesce a risolvere il quadro si deve ricorrere alla rimozione chirurgica.

SFEROCITOSI: Le emazie acquisiscono la conformazione globosa ed il passaggio reiterato nella milza ne accentua la velocità di degradazione. Clinicamente si ha anemia, ittero e splenomegalia. Si rimuove in età precoce e l’atto chirurgico è pienamente curativo.

TALASSEMIA: Anche in questo caso le emazie perdono la loro conformazione regolare e si hanno eritrociti di piccole dimensioni, dismorfici, ipocromici e con vita molto breve. Clinicamente si ha anemia grave, subittero ed epatosplenomegalia. La splenectomia porta ad un progressivo miglioramento della crasi ematica per il contenimento del processo emolitico. In tal modo si riduce la necessità di trasfusioni.

ANEMIA FALCIFORME: Analogamente al precedente per la distorsione delle emazie a forma di falce (drepanociti) si attua l’intervento chirurgico con le stesse finalità.

ANEMIE EMOLITICHE AUTOIMMUNI: Si realizzano per la presenza di autoanticorpi specifici oppure per sequestro epato-splenico delle emazie deformi. La splenectomia elimina il sequestro splenico.

PORPORE TROMBOCITOPENICHE: Si dividono in idiopatica (autoanticorpi e sequestro splenico) e si manifesta con petecchie emorragiche; trombotica (consumo di piastrine per formazione di microtrombi piastrinici) e si manifesta con anemia emolitica, piastrinopenia e febbre. Adeguatamente valutate dallo specialista ematologo ed in concomitanza alla terapia di supporto si procede alla rimozione della milza.

IPERSPLENISMI: Si segnalano la neutropenia e pancitopenia idiopatica con splenomegalia, febbre, anemia ed emorragie; splenomegalia congestizia (Sindrome di Banti) come forma secondaria all’ipertensione portale che si caratterizza per anemia, leucopenia e piastrinopenia. Mentre nei primi due la splenectomia è risolutiva, il terzo, essendo una forma secondaria all’ipertensione portale, si associa ad una tendenza emorragica spiccata ed una conseguente incremento dei rischi operatori.

Il primo medico a tentare una splenectomia fu il tedesco Karl Quittenbaum (1826), tuttavia Plinio Il Vecchio asserisce che già gli atleti del suo tempo si facevano rimuovere la milza per diminuire il dolore dovuto allo sforzo. La prima operazione di successo si deve al francese Jules Emile Péan (1867). Oggi l’intervento chirurgico può essere fatto per via laparoscopica o più frequentemente laparotomica con accesso sottocostale sinistro o mediano a seconda delle circostanze.